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copertina

Una cronaca e due storie su i dati e le cose

Cronaca del recinto

Succede quando qualcosa di comodo, gratuito e accessibile viene diffuso universalmente. Quando i monitor diventarono tascabili e gli obiettivi e i microfoni vennero miniaturizzati, ognuno aveva in tasca un sistema di comunicazione totale. I costi di connessione si abbassarono inversamente alla diffusione delle antenne, e il gioco fu fatto. Dal vecchio al bambino divenne facile prendere e dare messaggi audio, video e immagini. Tutte le altre forme vennero dimenticate, tutti gli altri supporti senza un video e un microfono vennero buttati. Molte professioni svanirono assieme a tutti quei ricordi di minoranze che non avevano i mezzi per trasferire messaggi e conoscenze sui nuovi supporti. Nacquero altre professioni come il visualizzatore, l’informatore, il server e l’amministratore, tutte legate alla diffusione e all’archiviazione di quelli che ora sono chiamati contenuti. Il paradosso di avere contenuti senza dei contenitori da mettere sulla mensola o in armadio non pareva turbare nessuno. Il vero controllo non è più sulla proprietà ma sul recinto.

La direttrice

C’era in paese una strana sensazione. L’idea di migliorare attraverso la bacchetta magica del futuro. Quel futuro, ottimista e facile, era disegnato da informatori che navigavano l’internet felici di ricamare parole sul diversamente nuovo. Cambiamo tutto era lo slogan da appiccicare al barattolo della solita carne in scatola, di alfieri lanciati a bomba contro i passatisti. Video e storie di cambiamenti epocali gridavano “Vogliamo il nuovo”. I ragazzini erano spinti a farsi imprese il cui capitale erano loro stessi. I sindacati lacrimavano pericoli, ma solo per gli iscritti decimati dall’età che avanzava. Nel frattempo lo Stato guardava sornione con gli occhi di mucca dei suoi tanti funzionari e dirigenti che, un po’ per noia un po’ per paura, lanciavano a loro volta quelli tra loro più ingenui ad aderire agli slogan. In quel paese la storia andò come è andata tanta altre volte: venne fatta l’agenzia per il nuovo con la direttrice che era nuova e amica degli alfieri del nuovo, ed era brava a dare fieno di storie agli alfieri. La direttrice era l’anima dei ritrovi e sapeva arpeggiare tutte le corde dei cuori e delle idee, che rimanevano ipotesi senza soldi. Un giorno, in un particolare ritrovo di alfieri, disegnò un nuovo ancora più nuovo, un nuovo 3.0 perché il 2.0 era stato saltato dalla prorompente vitalità. Il giorno dopo la direttrice si dimise.

Il riscatto di Babele

Da quando era possibile contare quanti ascoltavano i video, si era scatenata la gara a chi seguiva di più. I sacerdoti delle varie religioni guardavano con invidia questo censimento automatico, mordendosi le mani e altri pezzi del corpo, accusandosi tra loro per non averci pensato prima. I vari creatori di video capirono presto che per aumentare il numero dei seguaci, dovevano creare quelle piccole abitudini che diventano riti, che diventano identità. Tra quelli che guardavano i video uscire il giovedì e quelli che uscivano il martedì si creò una gara, vinta alla grande da quelli che uscivano ogni giorno. Poi vennero i creatori di video che uscivano due volte al giorno, ogni giorno. Poi vennero quelli che davano sconti su prodotti che mostravano nei video, finché arrivò chi iniziò ad accusare di eresia i seguaci degli altri creatori. Le crociate che un tempo lasciavano morti ai piedi di mura sante, lasciarono morti nelle identità dei seguaci e dei creatori. Le divinità che avevano creato i posti per i video si annoiarono, ma soprattutto videro che non guadagnavano abbastanza. Così, un giorno senza un avviso cambiarono le password di tutti, sia creatori che seguaci, e fissaro un prezzo per il recupero. Quel giorno viene ricordato come il riscatto di Babele.